Coca-Cola, il messaggio in una bottiglia
La Coca-Cola ha compiuto 151 anni l'8 maggio. Ma la notizia in realtà non è questa, è semmai il fatto che sia ancora così giovane, indiscutibilmente la bevanda dei ragazzi, da almeno tre generazioni. D’altronde, quando è nata, la nostra bibita preferita non era quello che è oggi – la fidanzata della pizza, l’invitata di qualunque festa di compleanno, la risposta pronta alla domanda “che ti bevi?” – era un farmaco, una medicina. Evidentemente un elisir di lunga vita: la sua. Chi l’ha inventata, Mr. Pemberton, di professione farmacista, l’aveva concepita come uno stimolante per i nervi in grado di curare “mal di testa, nevralgia, isteria, malinconia ecc.”, o almeno così sosteneva nella prima inserzione che pubblicò per farla conoscere. Da allora la sua composizione è cambiata poco, solo qualche aggiustamento per eliminare le sostanze psicotrope della pianta di coca, divenuta nel frattempo illegale, ma più o meno ci siamo. È come se vi dicessi che alle festicciole dei vostri nipoti, tra qualche anno, si pasteggerà con la Biochetasi.
La domanda allora non può che essere: come è stato possibile? Come fa un farmaco a diventare il complemento ideale di un pasto? A far dimenticare di essere una medicina? La risposta è semplice: pubblicità. La comunicazione è stata così importante nel fare della Coca quello che è diventata che verrebbe la tentazione di dire che la vera festa è la sua. Tuttavia, la comunicazione ha inventato la Coca-Cola almeno quanto la Coca-Cola ha inventato la comunicazione. [segue]
Dario Mangano
Professore associato, Dipartimento Culture e Società - Unipa